Difendere Afrin

Mentre scriviamo queste righe (domenica 18 marzo), la città di Afrin nel nord est della Siria è stata invasa dall’esercito turco e dalle forze alleate del terrorismo fondamentalista islamico ed i resistenti continuano a resistere all’interno con operazioni di guerriglia.[1] In merito a questo, non possiamo che augurare ad Erdogan che i suoi sgherri facciano la stessa fine dell’ISIS che quattro anni fa entrò nella città di Kobanê per esserne poi ricacciati con gli interessi – una “vittoria” che decretò la fine di quello che sembrava una potenza inarrestabile. Nel frattempo ricapitoliamo la vicenda di Afrin e del territorio circostante.

L’invasione del cantone di Afrin è iniziata il 20 gennaio, con un massiccio bombardamento aereo e di artiglieria pesante made in NATO, seguito da un attacco a terra da parte dell’esercito turco e, in larga parte, dei suoi alleati di Al-Qaeda e dell’ISIS che oggi agiscono sotto il nome di FSA (Free Syrian Army – Libero Esercito Siriano).[2] Per la sua situazione geografica, il cantone di Afrin, in questi sette anni, era stato relativamente poco toccato – salvo i momenti iniziali – dalla sanguinosa guerra che infiamma la Siria: per questo aveva dato rifugio ad un’enorme quantità di sfollati, che si sentivano protetti anche dalle truppe russe che erano presenti in zona. Proprio il ritiro di queste truppe ha, da un lato, dato il via libera all’invasione e, dall’altro, mostrato la complicità del governo russo con il governo di Erdogan. Un’alleanza che si è costruita nel tempo ed ha portato ad un rovesciamento di fronti, con ripercussioni anche nel fronte del rossobrunismo nostrano ed internazionale che, in questi tempi, si è dato ad un’operazione di discredito dell’esperienza del Confederalismo Democratico in funzione – oggi è evidente – di appoggio a quelle che erano le prospettive di azione di Putin e di Erdogan.

Un’operazione che, in queste stesse pagine, abbiamo sottoposto ad una critica severa[3] ed ora non possiamo far altro che sperare che chi, in queste formazioni, agisce ed opera in buona fede capisca in che gioco si è andato ad infilare. Non fosse altro perché la complicità degli stati dell’area NATO – quelli che secondo i rossobrunisti l’esperimento socialista e libertario del nord della Siria avrebbe appoggiato – non è certo minore: da un lato la Turchia utilizza tecnologie belliche che le vengono fornite da quest’ultimi, dall’altro questi stessi lasciano platealmente fare all’esercito turco e mettono la sordina ai media di regime sull’argomento. Lo stesso regime baathista di Bashar Al-Assad’s ha fatto il gioco delle parti, richiedendo alle popolazioni del cantone di Afrin, in cambio del proprio intervento difensivo, la sottomissione completa allo stato siriano – una richiesta volutamente concepita per essere inaccettabile. Una convergenza di interessi e di strategia tra Siria, Russia e Turchia cui alla fine si sono adeguati un po’ tutti che, evidentemente, è frutto degli accordi di Sochi.[4]CITARE ARTICOLI E NUMERI DI UN.

Nel frattempo la situazione della popolazione del cantone è tragica, sottoposta da un lato alle efferatezze tecnologiche delle armi a brand NATO, dall’altro alle efferatezze medievali del terrorismo fondamentalista islamico, da un altro ancora alla distruzione sistematica delle infrastrutture necessarie alla vita – siti archeologici, panifici, linee elettriche, telefoniche, ospedali e scuole vengono colpiti dagli attacchi turchi. Una popolazione, tra l’altro, che è ben riduttivo definire “curda” perché in quel cantone vivono arabi, cristiani, ezidi, circassi, tutti sotto la minaccia del genocidio da parte della Turchia e dei suo sgherri.[5] Nel corso di quest’offensiva l’aviazione turca ha bombardato edifici civili e zone densamente popolate, anche con l’ausilio di armi chimiche, e scatenando le milizie jihadiste sue alleate in massacri e torture – nel silenzio assordante della “comunità internazionale”.

Per tutto questo, la Comune internazionalista del Rojava ha indetto una giornata di azioni e solidarietà globale – come quello che ebbe luogo il 1° Novembre 2014 per Kobanê – per Sabato 24 Marzo, volta a far sentire la solidarietà internazionale all’esperimento socialista, libertario e femminista che sta avendo luogo da quattro anni nel nord est della Siria. Un processo di autodeterminazione dal basso, un mondo diverso e reale, un movimento egualitario, femminista e laico nato nella Siria insanguinata dalla guerra e dagli interessi delle potenze straniere globali e regionali, che ha emozionato il pianeta intero e che non va lasciato solo. Scendiamo in piazza per difendere Afrin ma anche per difendere una speranza per tutta l’umanità.

Enrico Voccia

NOTE

[1] http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2018/03/18/siria-erdogan-conquistato-centro-afrin_ebb008f8-92a7-4991-9270-bc7d9a88faa1.html ; http://www.corriere.it/esteri/18_marzo_18/erdogan-esulta-presa-afrin-cacciati-combattenti-curdi-6dd81c72-2a85-11e8-9415-154c580b61c3.shtml ; https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/18/siria-erdogan-preso-controllo-del-centro-di-afrin-ma-i-combattenti-curdi-lo-smentiscono-scontri-in-corso/4234132/

[2] Il Free Syrian Army in effetti esiste da tempo ed ha origine da disertori dell’esercito siriano che si sono rivoltati contro lo stato siriano (https://it.wikipedia.org/wiki/Esercito_siriano_libero); nel caso però dell’attacco ad Afrin le sue insegne sono usate come copertura di Al-Qaeda e dell’ISIS, come mostrano le bandiere di quest’ultimo che sventolano insieme alle bandiere dello stato turco, lo stile della loro propaganda ed i numerosi comandanti di queste formazioni che sono stati uccisi dalla resistenza ad Afrin.

[3] Enrico Voccia, “Fallacie e Fandonie” in UN n.26 del 1 ottobre 2017 e “Quando il mio nemico è nemico del mio nemico” in UN n.28 del 15 ottobre 2017

[4] http://sicurezzainternazionale.luiss.it/2018/01/31/sochi-accordo-sulla-creazione-un-comitato-costituzionale/ ; http://formiche.net/2018/01/sochi-russia-siria/. Nel frattempo l’Europa ha sbloccato la seconda tranche di tre miliardi di euro per finanziare Erdogan nella repressione dei migranti e dei rifugiati, mentre l’industria bellica italiana e dei paesi NATO sono, come abbiamo già detto nel corso dell’articolo, le principali fornitrici dell’esercito turco, per non parlare dei vari governi – quello italiano in testa – che accolgono con tutti gli onori un presidente turco le cui nefandezze sono ben note e reprimono le iniziative di contestazione. D’altronde, dopo quasi due mesi dall’inizio dell’invasione turca, l’indifferenza dei grandi media occidentali stride con l’entusiasmo con cui gli stessi hanno – per un attimo – osannato i combattenti e le combattenti curdi per aver sconfitto ISIS.

[5] Erdogan non fa mistero di voler insediare in quell’area i profughi siriani che ospita – finanziato dalla Comunità Europea – sul proprio territorio, cambiando così la demografia della regione.

Related posts